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Newsletter n. 1/2022

And the winner is … (Il migliore avvocato dell’anno)

In fondo si tratta solo di decidere e di comprendere se le regole deontologiche in tema di pubblicità debbano valere per tutti o solo per alcune categorie di colleghi, magari quelli meno organizzati, meno forti e meno strutturati.

Ci si riferisce ai c.d. awards, ossia ai premi riservati ai (sedicenti o pretesi) migliori avvocati dell’anno in ogni ramo del possibile sapere giuridico e quindi a tutti gli ormai numerosissimi, premi e riconoscimenti di ogni genere che, ogni altro giorno, gratificano colleghi con il titolo di migliore in qualche cosa.

Va subito precisato come non risulti che alla base di questi riconoscimenti, vi sia mai alcuna, anche minimale, valutazione relativa al merito, trattandosi per lo più di premi a pagamento, conferiti senza che la relativa assegnazione sia dettata da criteri trasparenti e oggettivi.

Non vi è nessuno, dunque, che valuti l’effettivo merito dell’operato del singolo avvocato e/o studio, né, del resto, si vede come ciò potrebbe essere possibile, alla stregua dell’obbligo di riservatezza concernente lo svolgimento dell’attività professionale.

Semplicemente, il più delle volte, alcuni soggetti, senza titolo e senza avere effettuato alcuna specifica attività se non qualche ricerca in internet e sulla stampa in merito ai nomi di legali che qualche volta vi appaiono, prendono contatto con alcuni studi riferendo loro che, a seguito di accuratissime verifiche, sono stati individuati come il miglior studio legale dell’anno in una determinata materia, generalmente neppure definita nel primo colloquio.

A fronte dell’interesse e del comprensibile compiacimento del destinatario, viene allora spiegato che la consegna del prestigioso riconoscimento verrà effettuata nel corso in una cena di gala (di cui il premiato potrà anche conservare il filmato per la gioia di amici, parenti e possibili clienti futuri) cui egli potrà invitare chi ritiene, cena di gala dal costo non indifferente e che potrà aumentare velocemente a seconda del numero dei partecipanti, della collocazione del tavolo, della richiesta del filmato etc.

All’esito delle prime consultazioni e ottenuto l’assenso dei diversi destinatari, può anche accadere che in una stessa materia o settore vi siano più studi che hanno accettato di essere riconosciuti come i migliori: e allora, dato che tutti i “migliori” devono essere premiati, ecco che si arriva alla moltiplicazione del pane e dei pesci: la materia viene divisa in diversi ambiti, così che tutti possano avere il loro riconoscimento; succede anche che alcuni organizzatori si spingano oltre e, come accaduto di recente, chiedano all’avvocato di indicare la vicenda o il cliente rispetto al quale ha manifestato la sua particolare abilità e competenza.

E così compaiono le ragioni per l’assegnazione del premio, il nominativo dei clienti assistiti e le relative vicende giudiziarie.

Da ultimo, pressoché immancabilmente, gli stessi organizzatori, se non il “premiato”, pubblicano “post” sui vari social - se non, addirittura, anche tramite redazionali su importanti quotidiani o network del paese - commoventi messaggi di ringraziamento, diretti agli organizzatori, al proprio “staff” e ai “clienti”, per il prestigioso successo conseguito, messaggi peraltro di taglio autoreferenziale, quando non addirittura implicitamente comparativo, in cui, con sprezzo del ridicolo, viene magnificato il loro impegno nell’assistenza delle imprese italiane e straniere e la loro capacità di risolvere al meglio tutte le questioni più complesse.

A tacere, lo si ripete, del ridicolo di tale spettacolo e della inevitabile  malinconia provocata alla stragrande maggioranza degli iscritti nel constatare la continua deriva della professione, riesce in ogni caso difficile ritenere che la condotta di questi colleghi,  che sbandierano sui social tali fasulli riconoscimenti, non integri una reiterata violazione delle norme deontologiche, che non è più possibile ignorare, pena la (ulteriore) perdita di credibilità della professione e dei suoi organi istituzionali.

 

il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia

Comitato Pari Opportunità

Tra i progetti che il Comitato per le Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Brescia ha curato sin dalla propria genesi, preme richiamare l’attenzione su quello inerente l’abbattimento delle barriere architettoniche presenti negli uffici giudiziari bresciani. Il tema della disabilità degli avvocati ci è particolarmente caro perché questi ultimi sono tra coloro che pagano con la propria “libertà” di libero professionista il più duro prezzo della fragilità o della disabilità. Inoltre, l’elevato afflusso di persone agli uffici giudiziari impone di affrontare il tema come doveroso atto di civiltà.

Per meglio comprendere la condizione dei nostri uffici giudiziari, e le conseguenti relative necessità, nel luglio 2019 una delegazione del Comitato ha eseguito un sopralluogo presso gli uffici giudiziari bresciani, ed ha quindi percorso, in compagnia di una gentile collega che necessita di un deambulatore per camminare, i normali tragitti di quotidianità lavorativa, questa volta con “occhio critico”. Benché il Palagiustizia sia un edificio di relativamente recente costruzione (e certamente versi in condizioni migliori rispetto a molti altri Tribunali d’Italia) sono emerse diverse problematiche, invisibili ai più. Per barriera architettonica si intende, infatti, qualunque tipo di struttura, ostacolo, segnale che crei un impedimento e renda inagibile o difficilmente fruibile un luogo o un servizio.

Per dovere di sintesi si citano qui solo alcune delle criticità emerse presso il Tribunale, quali quelle relative alle porte di entrata e di uscita che sono molto pesanti, ma anche rispetto all’apertura di alcune porte interne; difficoltà di accesso all’ascensore (che si chiude in modo repentino ed energico); difficoltà di passaggio in alcune aule a causa dell’arredamento; problemi di accesso alle fotocopiatrici e di fruibilità delle stesse; problemi di accesso al bagno dei disabili (non essendo le chiavi facilmente reperibili), ed ancora, inesistenza di agevolazioni o priorità per l’accesso alle cancellerie. Infine, non esistono accorgimenti per i soggetti non vedenti. La relazione del sopralluogo è stata portata all’attenzione della Conferenza Permanente per il Funzionamento degli Uffici Giudiziari, ma l’avvento della nota emergenza sanitaria ha interrotto ogni possibile successiva iniziativa. La questione delle barriere architettoniche è stata poi ripresa nel corso della Conferenza Permanente dei servizi tenutasi presso la Corte d’Appello nel novembre 2021, all’esito della quale è stato dato incarico alla società che si occupa degli interventi tecnico-manutentivi presso il Tribunale di Brescia di redigere una prima relazione sullo stato del Tribunale e sugli eventuali lavori da compiere. Da ultimo, ad oggi abbiamo positivamente constatato l'avvenuta dotazione di defribrillatori (azione sollecitata dal Comitato, di evidente importanza, ma maggiormente legata al tema della sicurezza).

Nell’auspicio che l’accesso agli uffici giudiziari bresciani sia egualmente consentito a tutti gli utenti, si invitano i colleghi che dovessero individuare ostacoli di accesso o di fruizione degli uffici a darne cortese segnalazione al Comitato per le Pari Opportunità.

 

la Presidente del Comitato per le Pari Opportunità

dell’Ordine degli Avvocati di Brescia

avv. Chiara Gorlani

Patrocinio a spese dello Stato

Si forniscono alcuni dati statistici sulle domande di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentate nel corso dell’anno 2021.

In tale anno sono state depositate 2.969 richieste di ammissione al beneficio del gratuito patrocinio (2.280 nel 2020 e 4.226 nel 2019), delle quali 1.635 da cittadini italiani e 1.334 da stranieri.

Le domande ammesse sono state 2.576, quelle respinte 163 (le rimanenti sono in attesa di integrazione documentale o sono state rinunciate).

 

Ecco la ripartizione delle domande in riferimento all’autorità:

 

- Corte di Cassazione

99

- Corte d’Appello

132

- Corte d’Appello – Sezione Minorenni

39

- Tribunale

1.571

- Tribunale per i Minorenni

1.060

- Giudici di Pace

41

- Camera di conciliazione

23

- altre autorità

4

 

Il maggior numero di richieste del 2021 ha avuto a oggetto il riconoscimento della protezione internazionale avanti il Tribunale (387 a fronte di 419 nel 2020 e di 1.876 nel 2019), la separazione dei coniugi (298; 281 nel 2020; 308 nel 2019), la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale (278; 107 nel 2020; 77 nel 2019), lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (191; 167 nel 2020; 187 nel 2019).

 

la commissione patrocinio a spese dello Stato

Giustizia amministrativa: un’isola felice?

In occasione di un recente convegno (ottobre 2021) organizzato sul tema della giustizia amministrativa da una delle principali associazioni dei magistrati amministrativi italiani (ANMA) coinvolgendo anche l’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, il giornalista chiamato a coordinare il convegno ha, fra l’altro, sostenuto che i ricorsi avanti ai TAR interessano solo ai legali. Il tutto ‘rovesciando’ quindi il senso stesso della giustizia amministrativa, come acutamente osservato dall’avv. Stefano Bigolaro (Presidente uscente della camera amministrativa veneta) che ha criticamente commentato simile infelice ‘uscita’ su “Il dubbio” nei giorni immediatamente successivi, osservando però, ed altrettanto condivisibilmente, come la stessa tradisca, purtroppo, opinioni e pensieri tutt’altro che rari, del resto spesso e malamente diffusi dai media che si occupano superficialmente della materia o che fanno da cassa di risonanza di altrettanto infelici sortite di esponenti politici che periodicamente svolgono considerazioni tanto infondate, quanto ingenerose nei confronti della giustizia amministrativa (che in particolare ostacolerebbe l’economia, gli appalti e le opere pubbliche), quando non propongono addirittura l’abolizione stessa dei TAR.

Ed in effetti, se persino in occasione di un convegno che ha visto l’attiva presenza di UNAA (unione di camere locali che costituisce felice esempio di vero processo federativo operato ‘dal basso’ cui anche la nostra camera locale - CADLO - ha dato con convinzione ed ab initio il suo concorso) si esprimono simili opinioni c’è di che riflettere e dunque, ed attingendo nuovamente all’articolo del citato collega, “c’è di che spiegare” e bisogna continuamente tornare a farlo, cosa che quindi tento anch’io di fare con il presente contributo.

Ed aggiungo, infatti, che forse bisogna continuare a farlo anche al nostro interno, cioè nello stesso ambito forense dato che mi pare tuttora assai diffusa fra i più la convinzione che la giustizia amministrativa costituisca sua sorta di ‘bolla o isola felice’. Non si tratta però ed a mio avviso di dare corso ad improprie ‘gare’ (che è ovviamente meglio … perdere) fra chi vive o subisce situazioni più disagevoli o inadeguate, ma di operare un approccio più meditato e sistematico per valorizzare ciò che fra le diverse giurisdizioni, ordinarie o speciali che siano, costituisce invariante su cui concentrare ed unire le forze dell’intero foro ed accrescere la consapevolezza dello stesso al riguardo, il tutto per poter dare effettività alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive lese di coloro che al foro si rivolgono, di qualsivoglia tipologia e naturi si tratti.

Non diversamente presso la sezione bresciana del TAR. Nel 2017 venne sottoscritto un protocollo che, dopo un primo decennio di operosa, ma destrutturata, attività, dava sistema e legittimava l’esperienza del tavolo di confronto fra le diverse componenti, in particolare magistratuale e del foro, divenuto la ‘Commissione Distrettuale TAR Brescia’ (CDT), primo ‘tavolo’ del genere in Italia e quindi piccolo vanto bresciano essendo come tale divenuto esemplare punto di riferimento che ha fatto germinare nel corso degli ultimi anni ulteriori esperienze simili presso altri TAR. Tale protocollo è stato però ed alfine “archiviato” nel giugno 2021 con l’avvento di un nuovo presidente della Sezione TAR di Brescia, il quale ha ritenuto (e teorizzato sin dal suo arrivo, sul finire del 2019) che abbia sbagliato il Presidente pro-tempore che nel 2017 lo sottoscrisse con tutti gli Ordini del Distretto (rappresentati dall’Ordine di Brescia), con l’avvocatura Distrettuale dello Stato e le avvocature civiche del Distretto, oltre che con la camera locale, così come ha di fatto ritenuto abbiano parimenti sbagliato tutti i Presidenti che dal 2008 si sono via via succeduti nell’incarico e che a tale tavolo si sono sempre e costruttivamente confrontati con i rappresentanti del foro del distretto.

Se l’attuale Presidenza, differenziandosi appunto dalle precedenti, ha ritenuto di recedere formalmente ed unilateralmente dal protocollo sottoscritto nel 2017 ponendo così fine a tale esperienza, che pure aveva concorso in modo decisivo ad incrementare l’efficienza del TAR (e grazie alla sua esistenza e strutturazione, merita fra l’altro ricordare, dato concorso deciso all’azione svolta dal foro nel corso del 2014 per salvare le sezioni staccate dei TAR dall’improvvido decreto legge del governo dell’epoca che, a clamorosa conferma delle infelici ‘uscite’ politiche già sopra ricordate, ne aveva previsto la soppressione) e quindi ed in ultima analisi a migliorare nell’interesse di tutti il servizio reso dalla giustizia amministrativa al territorio del distretto, si impone a mio avviso operare adeguate riflessioni, di portata peraltro generale.

In primo luogo, quanto accaduto attesta come la giustizia amministrativa, lungi dal costituire un’isola felice, sia ben più arretrata rispetto alla giurisdizione ordinaria non essendo dotata delle pur minime guarentigie che al foro sono, ed ex lege, riconosciute appunto nell’ordinamento della giustizia ordinaria. Quanto accaduto, come rilevato in una più ampia riflessione che mi è stata richiesta dall’UNAA (che, per chi fosse interessato è pubblicata sul numero di giugno di UNAA notizie e comunque scaricabile dal seguente link: cliccare qui) attesta infatti e dolorosamente che anche le esperienze più datate, apparentemente consolidate e pure formalmente strutturate, di concertazione in sede di G.A. sono intrinsecamente fragili, essendo integralmente esposte alla diversificata volontà dei singoli Presidenti che si succedono pro tempore nella carica. Tale fragilità, quindi, è sistemica; non dipende cioè o tanto dalla visione del singolo magistrato (che può ben e legittimamente avere idee e valutazioni diverse dal proprio predecessore), bensì, appunto, dalla mancanza di un sistema di norme che valorizzi stabilmente l’apporto delle altre componenti che operano nella G.A. ed in particolare dell’avvocatura ed, in ultima analisi, consenta stabilità ad una concertazione che, superando appunto la congerie dei singoli protocolli, consenta anche solo parziali, ma appunto non reversibili, processi di effettiva democratizzazione nella gestione della macchina amministrativa della G.A.. Mancanza che, rilevavo già lo scorso anno e non posso che ribadire anche quivi, è frutto purtroppo di evidente ritardo culturale, in ragione della peculiare genesi storica e delle note caratteristiche del giudice amministrativo.

Quanto accaduto si differenzia del resto e nettamente da altre (peraltro ben più delicate e gravi) vicende per le quali e sempre più spesso negli ultimi tempi vari ed autorevoli commentatori hanno usato la figura retorica della ‘mancanza di anticorpi’ nel sistema giudiziario, dato che tale metafora presuppone ci si trovi di fronte a manifestazioni, appunto, patologiche, mentre il brusco epilogo dell’esperienza della Commissione distrettuale bresciana (e, più in generale, del generoso, ma alfine frustrato tentativo che essa ha rappresentato di dare sistema alla concertazione con la rappresentanza istituzionale dell’avvocatura) è frutto fisiologico di un sistema che denuncia in tal modo il suo grave ed insanabile ‘vizio genetico’. Quello per cui ed appunto l’apporto dell’avvocatura e la concertazione non possano essere solo invocati quando ‘servono’ (come, purtroppo e per stare al mero ambito della G.A., dimostrato dalle vicende che hanno inerito il PAT, sia nella seconda metà dello scorso decennio, sia negli ultimi tempi) o lasciati a mere, più o meno felici, congiunzioni astrali fattuali ed umane e, quindi, al diversificato spirito volontaristico dei singoli, imponendosi per contro dare supporto sistemico e fonti alla concertazione ed all’apporto dell’avvocatura.

Il tutto, peraltro ed in ultima analisi, non per il foro o le singole componenti della G.A., ma per la miglior resa del servizio di giustizia amministrativa ai rispettivi territori di competenza.

Obiettivi simili peraltro richiedono un’avvocatura non solo decisamente più attiva, ma prima ancora più consapevole ed all’altezza delle esigenze e del momento storico dato che la fondamentale lezione da trarre dalla parabola discendente bresciana non può che essere l’accresciuta consapevolezza della priorità del tema della ‘governance’ nella G.A. e quindi la necessaria ripresa, con la massima pressione possibile, delle relative proposte di riforma della G.A. elaborate dall’UNAA nel corso degli ultimi anni.

Al di là del tema della governance e dell’infelice epilogo dell’esperienza bresciana della CDT, pur non essendo possibile in uno spazio consono al notiziario che gentilmente mi ospita affrontare in modo adeguato e sistematico le attuali e più complessive criticità della giustizia amministrativa, se pur con rapidi cenni (che peraltro confido bastino a confutare il concetto di ‘isola felice’ della giustizia amministrativa o almeno ad incrinarne la certezza) si considerino, da ultimo:

- la caduta verticale (in atto negli ultimi anni con un’accelerazione impressionante) del numero dei ricorsi avanti al G.A. da connettere, fra l’altro, anche se non solo, alla sproporzione del contributo unificato (che tocca picchi ‘vertiginosi’ in materia di appalti, ferma la sua ‘ordinaria pesantezza’) per cui si integrano vere e proprie barriere alla giustizia amministrativa che si traducono alfine in inaccettabile denegata giustizia. La relativa denuncia da parte del foro amministrativo (sin qui inascoltata, purtroppo) non risponde quindi ed affatto ad interessi ‘corporativi’, bensì al generale e fondamentale obiettivo, in un ordinamento che voglia continuare fondatamente a professarsi ‘democratico’, che la pubblica amministrazione ed il suo operato restino nel solco della legittimità e non calpestino gli interessi privati che devono poter essere tutelati nell’effettiva ‘parità delle armi’ con l’intesse pubblico o, in altri e speculari termini, che i soggetti, gli uffici e gli organi pubblici preposti ai pur fondamentali interessi loro affidati ne operino un effettivo e legittimo contemperamento con gli interessi privati volta per volta in gioco nel pieno e costante rispetto della legalità e del fondamentale principio (di matrice europea, ma ormai positivizzato e recepito nel nostro ordinamento interno) di proporzionalità degli atti. La diminuzione dei ricorsi non è quindi ed affatto dato positivo se non risponde ad una effettiva diminuzione di atti e provvedimenti illegittimi, di cui è del resto e per contro lecito dubitare, non potendo sussistere al riguardo ‘scorciatoie’ virtuose, essendo bensì frutto di mera diminuzione di tutela che, come tale, non lede tanto gli avvocati, più o meno specializzati in diritto amministrativo, bensì la giustizia sostanziale ed i valori costituzionali posti alla base del nostro ordinamento;

- l’infelice sommarsi di riforme o ipotesi di riforma della materia che, ancora una volta, non tengono in genere conto delle richieste e delle indicazioni del foro (istituzionale-ordinistico e specialistico-associativo che sia) e, prima ancora della realtà; si pensi emblematicamente a quanto da ultimo va accadendo sul falso presupposto che i TAR blocchino le opere pubbliche (che ignora platealmente e colpevolmente i dati oggettivi della materia, dato che gli appalti impugnati avanti al G.A. oscillano fra il 3 ed il 4% del totale delle procedure di evidenza pubblica e di tali impugnative solo un terzo circa ottiene la sospensiva - dati ufficiali dell’ufficio studi del Consiglio di Stato) per cui si è giunti a disciplinare fattispecie nelle quali ci si può rivolgere sì al giudice amministrativo, ma non per conseguire l’eventuale appalto che sarebbe spettato (ciò che è di moda chiamare negli ultimi lustri nelle pronunce del G.A. ‘il bene della vita’), bensì e solo per coltivare eventuale domanda risarcitoria, peraltro di incerta praticabilità; ciò, oltretutto e come acutamente rilevato da validi Colleghi, non certo ed in ultima analisi a vantaggio delle stesse pubbliche amministrazioni atteso che se il contratto d’appalto, una volta stipulato, resiste anche all’illegittimità della relativa gara, significa che la stazione appaltante, da un lato, sarà vincolata con un soggetto che ha presentato un’offerta peggiore e, dall’altro, dovrà pure risarcire i danni al soggetto che meritava essere il vero contraente;

- sul fronte delle peculiarità della magistratura amministrativa, la vera e propria piaga (che affligge soprattutto la tempistica dei giudizi pendenti avanti il Consiglio di Stato, prima ancora che la qualità delle relative pronunce) degli incarichi extragiudiziari e fuori ruolo rispetto ai quali, superfluo a dirsi, le proposte di riforma sin qui avanzate anche dalla nostra UNAA non sono state prese in alcuna considerazione dal legislatore e dai governi che si sono da ultimo succeduti;

- sul fronte strettamente processuale ed infine, la tematica delle udienze da remoto che ha attestato, sia nel 2020 (quando si trattò di introdurre e disciplinare nell’ordinamento tale nuova modalità di  svolgimento del cruciale momento dell’udienza), sia da ultimo (quando si è trattato, a fronte del reiterarsi dei picchi pandemici, di protrarre la durata dello strumento), come gli avvocati che operano prevalentemente avanti alla G.A. non possano (ed anche nel caso ‘copiando’ una felice espressione invocata in altro scritto del fecondo e già citato collega Bigolaro) che sentirsi ‘figli di un dio minore’ dato che si è dovuto insorgere nel 2020 per ottenere, dopo mesi, l’estensione dell’istituto alla G.A. (unico giudice speciale cui infatti ed inizialmente lo strumento non è stato applicato per limitare il giudizio ai meri scritti) ed, ancora oggi, la G.A. è l’unico giudice speciale (differenziato persino rispetto ai giudizi contabile, tributario e militare) in cui l’udienza da remoto non è più ammessa, per cui, anche se il periodo di emergenza sanitaria è stato prolungato, si è tornati al processo con udienze in presenza; il tutto al punto che per reintrodurre le udienze da remoto l’UNAA sta operando attraverso lo strumento degli emendamenti che singoli parlamentari (sensibili ed appartenenti ad un arco diversificato di forze politiche) si sono fatti carico di proporre nell’iter di conversione ultimo in corso. Del resto l’udienza da remoto nel caso della G.A. si inserisce nella linea di sviluppo del processo amministrativo che è già interamente telematico grazie al PAT e ciò grazie anche agli oneri e costi che tutti gli studi legali sono stati costretti ad assumersi facendosi carico di attività in precedenza demandate alle cancellerie. Anche se l’udienza da remoto è una novità introdotta di necessità, avendo fatto sperimentare notevoli potenzialità (con risparmio di tempi, trasferte, costi), ferma la più ampia dialettica apertasi al riguardo all’interno dello stesso foro specialistico, è indubbio che lo strumento possa essere utile anche superata la pandemia, per cui appare ancor più irrazionale, se non retrivo, non averlo prorogato in perdurante pendenza dello stato emergenziale. E ciò, ancora una volta, perché le decisioni sulle regole processuali vengono assunte senza sentire o tener conto degli avvocati, che pure con tali regole si devono misurare ogni giorno.

Per concludere, lo scorso anno la crisi pandemica ha impedito di celebrare con adeguati convegni e momenti di riflessione anche aperti alle diverse componenti che operano nella G.A. un compleanno importante, quello dei cinquant’anni dalla nascita dei TAR, che hanno concorso in modo decisivo a creare la giustizia amministrativa con cui noi ci siamo formati, ed impedito quindi di proseguire la necessaria riflessione sul loro potenziamento, in particolare in relazione a quella che è stata giustamente chiamata la nuova frontiera della G.A., quella risarcitoria.

Operare al riguardo richiede però che non cada nel vuoto l’appello che ho già sopra rivolto ad una maggiore consapevolezza da parte del foro delle criticità, ma anche delle potenzialità della materia che, se supportata da adeguate riforme, governance compresa, può rendere più saldo il presidio di legalità costituito dai TAR ed in generale dalla G.A. nell’interesse reale di cittadini.

 

avv. Fiorenzo Bertuzzi

(già Coordinatore della Commissione Distrettuale TAR Brescia -

Presidente CADLO e membro del direttivo nazionale UNAA)

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Brescia, 11 febbraio 2022

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